Presentiamo un breve racconto che richiama memorie e tradizioni dell’amata terra istriana. Un testo curato da Annamaria Crasti, Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Comitato di Milano, a cui va il nostro sentito ringraziamento per la cortese disponibilità.
E’ maggio.
Era maggio: il mese dei fiori, dei colori, dei profumi.
Le rose antiche davanti alla camera da letto di mamma e papà spandevano un profumo intenso che, penetrando dalla finestra, arrivava ovunque. Erano di un rosa particolare, con le foglie di un verde scuro.
E’ maggio.
Era maggio: e per San Bernardin fiorissi pan, oio e vin.
Fioriva el formenton. Tutte le fioriture sarebbero state presagio di un buon raccolto, i santi de jazo permettendo.
E’ maggio.
Era maggio: le ragazze, ma anche le pute vece, aspettavano l’arrivo del cuculo:
L’inverno se n’è andato,
Aprile non c’è più
E maggio è ritornato
Al canto del cu-cu.
Ma anche:
La bela a la finestra
La varda su e giù,
La speta ‘l fidanzato
Al canto del cu-cu.
E il cuculo cantava, dappertutto, e con quanta ansia le ragazze aspettavano il suo canto, non melodioso come quello dell’usignolo, ma profetico sì.
Cu-cu de la bela rissa,
Fra quanti ani sarò novissa?
E, con un certo timore, si aspettava la risposta che, implacabilmente, arrivava:
Cu-cu, cu-cu…
Sospiro di sollievo, solo due anni!
Ma per mia zia Avellina non si fermava mai.
E insisteva, insisteva nella sua domanda, e il cuculo, inesorabile, dava sempre lo stesso interminabile responso.
Avellina ha sposato mio zio Bepi quando aveva quasi sessant’anni, oramai esuli a Trieste.
Per lei il cu-cu, cu-cu, cu-cu ripetuto a lungo è stato veritiero.
Avellina era rassegnata ma insisteva nella sua domanda, sempre sperando che quella maledetta bestia, come la chiamava, abbreviasse il numero dei suoi cu-cu.
Alla sera del 30 Aprile i giovanotti appendevano alla finestra dell’amata un ramo fiorito o un ramo verde.
Il giovane vegliava perché qualche concorrente non lo togliesse.
Succedeva anche che lo facesse, qualcuno in vena di scherzi. Quindi, veglia notturna.
Alla mattina del primo maggio, la ragazza velocemente ritirava il rametto, leggeva la lettera della dimanda che consegnava ai genitori.
Che, nella norma, davano l’assenso.
Con grande gioia di tutti, il giovanotto poteva cominciare a frequentare la casa e iniziava il fidanzamento.
Poteva anche capitare che l’offerta del rametto fiorito venisse respinta e, per il giovanotto e la ragazza, tutto da rifare.
E’ maggio.
Era maggio:
In genere i proverbi meteorologici richiamano a un grande spirito di osservazione, molto acuto e che spesso vengono confermati dagli scienziati.
Poteva accadere più facilmente molti anni fa, quando il tempo, di regola, era più semplice da interpretare.
I nostri proverbi li ripetiamo da secoli per la candelora, per la domenica delle Palme.
E in maggio per i santi de jazo:
Majo per quanto bel
De jazo el se salva un granel,
Un fia’ pe san Pancrazio,
Un fia’ pe san Servazio
E l’ resto pe san Bonifazio.
E’ maggio.
Era maggio:
soprattutto nell’Istria veneta, fin dai tempi antichissimi, il mese di maggio era consacrato alla Vergine Maria.
Tutta la famiglia intorno all’immagine di Maria a recitare il rosario.
In un secondo tempo, per volontà dei vescovi, la recita del rosario è stata portata nelle chiese, con la predicazione e il canto delle litanie.
Alla sera, ogni sera, le chiese si riempivano di fedeli, in ogni paese, in ogni cittadina.
E tutto si svolgeva allo stesso modo.
Il rosario, la predica – venivano chiamati degli esperti predicatori – che proponevano un fioretto; il canto delle litanie cantate da un coro femminile, soprattutto ragazze che così venivano protette dalla Vergine.
Il coro solo femminile era tollerato per il mese di maggio. I cori ufficiali erano costituiti solo da voci maschili.
Il rientro a casa era l’occasione per allungarlo con qualche giro più largo.
Era maggio.
A Orsera, ma in tutta la nostra Istria, il canto del cuculo si ripeteva quasi ossessivamente.
E, altrettanto ossessivamente, le ragazze gli chiedevano il loro futuro.
Sorridevano alla risposta, dicevano di non crederci ma…
Le campagne intorno bianche di ciliegi in fiore, distese sterminate; il profumo degli ulivi fioriti persino troppo intenso.
Quel profumo l’ho respirato sessant’anni dopo, passando per le colline liguri.
Incredula sono scesa dalla macchina a cercare quei piccolissimi fiori, a respirare di nuovo quel profumo.
Tra i ciliegi e gli ulivi fioriti volavano i cuculi dispettosi.
Quei brevi o interminabili cu-cu cu cu-cu cu-cu… li risento in campagna, in Piemonte.
Non è Orsera, ma c’è pace e silenzio, tanto tanto silenzio.
I cuculi volano tra querce secolari, giganteschi ciliegi quasi selvatici e cespuglioni di bianco sambuco.
Li interrogo, i cuculi dispettosi, come un rito: cu-cu de la bela rissa, fra quanti anni sarò novissa?
Con i miei figli che ridono, con Claudio che mi prende in giro: te vol un altro o te me vol sempre mi?..
Ma sanno che è ricordare e tornare indietro, tanto indietro.
Come è stato tornare indietro, quando a Trieste, ragazzina delle medie, assiduamente, ogni sera di Maggio, per anni, andavo a cantare le litanie nella Chiesetta della Madonna del Mare.
Quella piccola, quella che abbiamo frequentato appena arrivati a Trieste.
Prima che son Venanzio costruisse la nuova chiesa in pietra, con le pietre delle case bombardate dagli Alleati.
Quei canti cantati a voce altissima, con fede e molto bene al suono dell’organo suonato da Padre Teodoro, che ci dava il via e ci dirigeva, non li ho più dimenticati.
Quegli inni, alla fine della cerimonia, cantati con ardore, non li ho mai dimenticati e che gioia e commozione nel risentirli ancora in qualche chiesa.
Buon mese di maggio.
Non è quello istriano, così dolce. Magari senza il cu-cu, senza profumi e con un po’ di colori, ma sempre il mese più bello.
Per riandare indietro nel tempo e non dimenticare le nostre antiche e bellissime tradizioni.