di Daniele Carozzi – Sergio Ramelli, il giovane del Fronte della Gioventù morto a 18 anni per il coraggio delle sue idee, il 28 aprile è stato ricordato a tutto campo all’Auditorium “Testori” di Palazzo Lombardia a Milano, dal Presidente della Regione Attilio Fontana, Paola Frassinetti, Carlo Fidanza, e dal Presidente del Senato La Russa (per molti dei numerosi presenti soltanto “Ignazio”). All’ingresso, un cavalletto con il francobollo dedicatogli da Poste Italiane. Presenti anche scrittori, fumettisti, attori e cantanti che sul palco hanno ricordato Sergio nelle loro opere. Intramezzato dalle interviste dei giornalisti Matteo Carnieletto, Giannino della Frattina, Paolo Busacca e Paolo Colonnello, il nastro della breve vita di Sergio Ramelli, studente al Molinari, interista, entusiasta della vita e delle sue idee, è stato ripercorso dalla barbarie del suo omicidio, passando per la complicità degli insegnanti, fino ad uno Stato e una Chiesa che furono tremebondi, come ha raccontato Riccardo De Corato: «Non solo il Governo voleva impedire i funerali pubblici di Sergio, ma Servello dovette intervenire presso l’Arcivescovo per scovare un sacerdote disposto a celebrargli la messa funebre». Infine, il coraggio del giudice Guido Salvini nel prendere in mano un fascicolo ormai sulla via dell’archiviazione, per aprire l’istruttoria e condannare i colpevoli. Fu, quella del tempo, una tristissima Italia sottomessa, afflittta da opposti terrorismi, ma dominata da un pensiero unico che guardava ed assolveva soltanto a Sinistra.
Maledetto fu quel tema scolastico, dove Sergio criticava le Brigate rosse e gli esecutori degli omicidi di due attivisti di destra avvenuti a Padova. Il testo apparve in bacheca d’Istituto: “ecco il fascista da punire”. Erano tempi di odio, dove tra gli slogan preferiti suonava alto quell’“uccidere un fascista non è reato”. Detto fatto. E la materia grigia di Sergio cade sull’asfalto nei pressi di casa sua, davanti agli occhi terrificati di mamma Anita, poi anch’essa perseguitata, del padre che morirà di crepacuore poco tempo dopo, del fratello che dovrà cambiare città e della sorellina Simona, che alla sua bimba metterà il cognome Ramelli. Seguirono quarantasette giorni di coma e poi la morte. Per il Presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana «Sergio è un figlio d’Italia, e come tale va ricordato». Lo segue un icastico Gabriele Albertini con un «quando torneremo al governo di questa città, dedicheremo a Sergio Ramelli una via o una piazza» e in sala echeggia qualche “ti rivogliamo sindaco”. Per Paola Frassinetti, sottosegretario all’Istruzione, amica di Ramelli «Sergio era fiduciario al Molinari, mentre io lo ero al Carducci e l’odio di quegli anni era dato dall’”antifascismo militante”. Quando decidemmo di mettere all’Istituto Molinari una targa a ricordo di Sergio, le contrarietà non vennero dagli studenti, bensì da attempati docenti e dirigenti scolastici». Sullo schermo appare lo spot del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che all’epoca di Sergio non era neppure nata, il cui tono è «Dobbiamo neutralizzare i germi dell’odio e del dolore. Dobbiamo raccontarlo ai giovani d’oggi, e dobbiamo dire loro: difendete le vostre idee con forza, ma fatelo con amore. Come fece Sergio». Poi si avvicendano sul palco coloro che hanno editato, messo in musica o in fumetto la storia di Sergio. Appaiono così Andrea Arbizzoni con il primo libro di Ramelli “Una storia che fa ancora paura”, Giuseppe Culicchia con “Uccidere un fascista”, il quale spera che l’Istituto Molinari venga intestato a Ramelli, Nicola Rao con “Il tempo delle chiavi e l’omicidio Ramelli”, Federica Venni con “Il ragazzo che non doveva morire”, l’attore Paolo Gussali con “Chi ha paura dell’uomo nero”, la fumettista Paola Ramella con “Le idee hanno bisogno di coraggio”, Federico Goglio con “Quando uccidere un fascista non era reato” e infine Enrico Ruggeri autore di “Un gioco da ragazzi” che canta “Il poeta” e “Quello che le donne non dicono”. Intervistato dal sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi, Ruggeri afferma: «Non so quanti miei colleghi avrebbero dovuto essere oggi qui. Forse la metà non sono venuti perché non intendevano ricordare questo ragazzo e l’altra metà lo avrebbero ricordato ma non volevano esporsi. Quindi detesto entrambi”.
Vengono infine premiati con una targa sindaci e assessori di trentaquattro fra paesi e città (tra queste Sesto San Giovanni la “Stalingrado d’Italia”) che hanno da poco intestato, o lo stanno per fare, una via o una piazza a Sergio Ramelli. Alla chiusura, la parola spetta al Presidente del Senato La Russa il quale, ringraziato Guido Giraudo per il suo primo libro su Ramelli, accenna al desiderio di una pacificazione: «Noi facciamo di tutto per costruire ponti, ma c’è chi sta facendo di tutto per distruggerli». La tanto agognata “pacificazione” è ancora lontana.




